Nei prossimi decenni l’andamento dell’economia globale sarà sempre più influenzato dall’invecchiamento della popolazione in età lavorativa.
Le nazioni che ora presentano un aumento della quota di popolazione in età lavorativa godranno in futuro di benefici economici: la fascia produttiva dei cittadini dovrà infatti sostenere meno persone economicamente dipendenti. Questo fattore viene chiamato dividendo demografico.
L’inversione di questa tendenza viene invece chiamata costo demografico. Ne sono un esempio l’Europa e il Giappone le quali, a causa della diminuzione delle persone in età attiva, affronteranno alti costi demografici: una conseguenza sarà il crescente comportamento di risparmio.
La generazione dei baby boomer, nata tra il 1946 e il 1965, potrebbe infatti vendere parte dei loro investimenti per finanziare le loro pensioni causando però un possibile eccesso di offerta. Bisogna inoltre ricordare come l’allungamento dell’aspettativa di vita e il crescente invecchiamento aumenteranno la spesa sanitaria a beneficio dei settori farmaceutico, biotecnologico e sanitario.
Secondo una ricerca pubblicata sulla rivista medica “The Lancet”, l’invecchiamento della popolazione mondiale vedrà un’inversione di tendenza solo nel 2064 con un successivo calo della natalità. Fino a quel momento invece l’aumento della domanda dovuta dalla crescita della popolazione influenzerà positivamente i mercati dei beni di consumo e l’utilizzo di materiali. Aumenterà di conseguenza la domanda di materie prime e la crescita delle classi medie delle società nei mercati emergenti provocherà un aumento della domanda per i produttori di beni durevoli.
Esiste tuttavia un’altra faccia della medaglia. L’aumento della popolazione, oltre alle crescenti vendite di prodotti e servizi, avrà infatti conseguenze anche dal punto di vista ambientale: non solo si ingrandirà l’impronta ecologica media della popolazione, ma l’agricoltura e l’industria alimentare dovranno nutrire una quantità maggiore di persone aggravando le sfide ambientali.